La Pgi ai tempi del coronavirus | Pro Grigioni Italiano

La Pgi ai tempi del coronavirus

Articolo - La Pgi ai tempi del coronavirus

La Pgi ai tempi del coronavirus

Per capire come la Pro Grigioni Italiano sta vivendo l'emergenza dettata dal coronavirus e come si sta riorganizzando, Marco Travaglia («il Bernina») ha intervistato la Segretaria generale Aixa Andreetta.

Qual è il tuo punto di vista personale su quanto sta accadendo? Credi che la Pgi possa uscirne rafforzata o indebolita?

Per quanto riguarda la programmazione culturale e i progetti editoriali, ritengo che le nuove forme creative di condivisione e le nuove modalità di fruizione per la cultura, offerte dal mondo digitale, hanno il vantaggio di dare continuità a quel sentimento di reciproco sostegno, indispensabile al Grigionitaliano. Vedo personalmente del potenziale per uscirne rafforzati e per aprirci a scenari innovativi. Tuttavia non nego che sono oggi più convinta che mai della necessità di momenti di incontro reali, di strette di mano e di una condivisione fatta in carne e ossa, non sostituibile da alcuna piattaforma online.

Certo sono stati due mesi nei quali abbiamo anche rafforzato dei processi collaborativi e ci siamo chinati nel dettaglio sulla nostra missione e sulle priorità a medio-termine.

Tuttavia siamo difronte ad una società e ad un territorio già molto frammentati, in cerca di risposte ed è bene chiedersi in che modo le organizzazioni culturali possono contribuire alla stabilità e alle transizioni. Da una parte si è creato uno spazio fortemente interconnesso e solidale, con una miriade di iniziative, dall’altra non è scomparsa una forte individualizzazione e poca tolleranza reciproca. E se la cultura è a tutti gli effetti la cura per i traumi sociali – come immaginarsi un periodo di isolamento senza libri, musica, film o arte? – dall’altra viene data – ancora – per scontata o considerata superflua.

Gli operatori culturali o le organizzazioni linguistiche si muovono proprio in ambiti contrastanti tra le abitudini locali e le tendenze globali, tra le esigenze dei cittadini e i limiti delle istituzioni. Dobbiamo poter mediare con visioni propositive, sostenute da analisi qualitative e quantitative, supportate dalla nostra immaginazione e da forme di condivisione tangibili per evitare che il digitale non sia solo lo sbiadito riflesso di pratiche datate. Credo occorra ancora un po’ di pratica nell’educazione culturale digitale e sarebbe bello poter creare un vero valore consapevole delle tecnologie a supporto degli artisti, dei musicisti, degli scrittori grigionitaliani, non dimenticandosi però della base dalla quale attingere e dalla quale tornare: i rapporti interpersonali, la conoscenza reciproca, i legami con la nostra identità, la memoria collettiva e la reinterpretazione delle tradizioni, ossia l’anima della nostra cultura.

 

 

Leggi tutta l'intervista nel documento allegato: